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— Anselm Feuerbach, Medea (1870, Monaco, Neue Pinakothek).

Chi vuole comprendere un’opera d’arte e goderne, ci vada possibilmente senza compagnia e si compri una sedia, se ce ne sono a disposizione, si sieda alla giusta distanza e cerchi, restando in silenzio, di dimenticare il proprio venerabile io per almeno un quarto d’ora.
Se non arriva a capire niente, allora ritorni, e se non ha capito niente dopo otto giorni, allora si metta in pace con la coscienza: ha fatto il possibile. Se però in questo lasso di tempo comincia a fare effetto il rapporto magnetico, se prova un calore nel cuore e sente che la propria anima comincia a sollevarsi al di sopra delle certezze quotidiane e dei pensieri consueti, allora è sulla buona strada per imparare a concepire che cosa sia l’arte e che cosa essa renda possibile.
Si comprende da sé che il discorso vale solo per gallerie, chiese o spazi privati silenziosi e dignitosi.
Alle mostre i quadri non possono essere presi in considerazione; si vede solo che sono lì. Per la maggior parte dei visitatori questo può comunque bastare, ma anche per l’artista, giacché in un minuto egli vede e prende le misure più di quanto faccia un profano impiegandoci ore e giorni.

[Anselm Feuerbach, Ein Vermächtnis, Meyer & Jessen, Berlin 1912 (1878¹, post.), pp. 248-249.]