[Cartello “Non toccare” sull’installazione di Delcy Morelos Earthly Paradise, Biennale di Venezia, 2022.]
[Marcel Duchamp, Prière de toucher, 1947.]
Scrive Christian Bromberger a proposito di Prière de toucher di Marcel Duchamp:
«Prière de toucher», telle est la légende qu’a placée Marcel Duchamp en bas d’une de ses œuvres représentant un sein féminin en relief. Ce faisant, il invitait facétieusement les visiteurs à transgresser un double tabou: celui qui pèse sur certains gestes érotiques dans les espaces publics, celui qui encadre les comportements au musée, où l’«on est prié de ne pas toucher», gardiens et alarmes le rappelant si nécessaire. «Hands off!», dit plus lapidairement l’anglais.
[Christian Bromberger, Toucher, in «Terrain», 49, 2007, pp. 5-10, DOI: 10.4000/terrain.5641.]
Se il primo tabù è stato più volte esplorato dall’arte contemporanea – pensiamo per esempio a TAPP und TASTKINO di VALIE EXPORT (1968-69) – il secondo ha assunto quasi la forma di una teorizzazione. Qualche anno prima dell’operazione di Duchamp, Franz Glück scriveva a proposito di Adolf Loos, in un passo citato anche da Walter Benjamin:
Leggendo il passo dove Goethe deplora il modo in cui i piccoli borghesi e tanti intenditori d’arte tastano incisioni in rame e rilievi, egli ha compreso che ciò che deve essere toccato non può essere un’opera d’arte, e che ciò che è opera d’arte deve essere sottratto alla manipolazione.
[Franz Glück, Umriss der Persönlichkeit, in Heinrich Kulka (Hrsg.), Adolf Loos. Das Werk des Architektes, Schroll, Wien 1931, p. 9; cit. in Walter Benjamin, Karl Kraus (1931), tr. it. di A. Marietti Solmi, in Opere complete, vol. IV, Scritti 1930-1931, Einaudi, Torino 2002, p. 330.]
Da notare, en passant, che Loos è autore di un articolo intitolato Hands Off (1917), in cui si ritrovano idee simili, pur non facendo riferimento al senso del tatto.
Più di recente, è tornata sulla questione l’artista croata Ana Petrović, con una serie di opere intitolate Pay to Touch this Painting (2010-), nelle quali, oltre a giocare con il tabù suddetto, mette in discussione almeno altri tre aspetti:
- il ruolo del mercato dell’arte nell’esperienza delle opere: come scrive Vladimir Frelih, anche lui artista, «if we don’t touch it, we cannot experience the work, and if we do so, we must pay» [Vladimir Frelih, commento a Pay to Touch this Painting];
- la dimensione oggettuale dell’opera: si tocca l’oggetto o si tocca l’opera? E chi può permettersi di toccare l’opera-oggetto? In fin dei conti, forse solo l’artista?
- la stessa vista come senso privilegiato per fare esperienza della pittura: quanto è difficile scorgere la scritta sulla superficie del quadro?
[Ana Petrović, Pay to Touch this Painting, 2015.]
Ma oggi come avrebbe reagito Duchamp nel vedere la sua opera in un museo rinchiusa in una vetrina e quindi divenuta intoccabile?
[Marcel Duchamp, Prière de toucher in esposizione al Guggenheim Bilbao, 2013.]